La verità delle religioni è solo il dialogo

Roberto Celada Ballanti “Filosdofia del dialogo interreligioso”, Morcelliana, 2020, pp. 178, euro 14,00.

Paolo RANDAZZO

Si fa presto a dire “dialogo”. Si fa presto, e spesso si fa male: il dialogo richiede capacità di silenzio e ascolto, empatia e intelligenza, autodisciplina, cultura. Il dialogo, se praticato con serietà, diventa luogo di pace, progetto politico pregno di speranza e questo può accadere ad ogni livello della condizione umana, può attraversare meridiani e paralleli. Certo resta forte l’odio, continuano le guerre, permane la politica come forza e sopraffazione. Oggi però non si può volar basso, malgrado il male che ogni giorno attraversa le vite degli uomini e rispetto al quale siamo mitridatizzati dai media, davvero non si può. Non possiamo non pensare con stupore e gratitudine a quanto è appena accaduto in Iraq, tra le macerie spirituali e materiali di Najaf, Mosul, Erbil. Non possiamo non riflettere su quanto coraggio, volontà d’amore, ascolto, empatia, carità, cultura ha messo in campo Papa Francesco recandosi in Iraq a dialogare con i musulmani e i cristiani di quella terra. A pregare con loro, a chiedere che le religioni considerino abominio e negazione di Dio ogni violenza. Amore e dialogo: nient’altro, nessuna scorciatoia. “Rinunciare al nemico” hanno titolato i giornali, sintetizzando il messaggio di Francesco e non c’è altro d’aggiungere. Ma per non fermarci alla superfice mediatica, per capire la straordinaria grandezza del gesto del papa, occorre guardare al suo significato profetico, ripensare a quanto abbia inciso la globalizzazione sulla necessità di dialogo tra religioni. Occorre considerare il lavorio spirituale e filosofico che sta rivitalizzando il dialogo interreligioso. È di grande aiuto, in questo senso, il piccolo saggio di Roberto Celada BallantiFilosofia del dialogo interreligioso” (Morcelliana, euro 14,00). Un saggio denso di pensieri e sapienza, da leggere con apertura di mente e autentica disponibilità di cuore. Una ricerca del senso possibile nel territorio del dialogo tra religioni. Si parte con una riflessione sul mito di Iride e da quanto Raimon Pannikar ha scritto su questo mito illuminante: «Le diverse tradizioni religiose dell’umanità sono come il numero quasi infinito di colori che appaiono quando la luce divina, o semplicemente la luce bianca della realtà, colpisce il prisma dell’esperienza umana: si rifrange in innumerevoli tradizioni, dottrine e religioni. Attraverso ogni specifico colore, in questo caso una religione, si può raggiungere la sorgente della luce bianca». Questo il punto di partenza, ma il campo della ricerca è il confine, la soglia tra le tradizioni religiose. Non è una ricerca semplice, anche se un atteggiamento superficialmente relativistico potrebbe liquidare la questione in due parole. Si tratta di concepire un assoluto religioso che si manifesti pacificamente in forma plurale. Dapprima sono attraversate tre esperienze di dialogo filosofico: il “De pace fidei” di Niccolò Cusano del 1453 con l’idea di religio una, separata dalle religioni positive ma, al contempo, presupposta in esse; il “Colloquium Heptaplomeres” di Jean Bodin del 1588, coraggioso nel suo polifonico pluri-prospettivismo religioso; il dramma “Nathan il saggio” di Lessing del 1779. Un dramma che, al suo III atto, approfondisce la già vertiginosa “Parabola dei tre anelli”: la verità religiosa, nel suo nucleo più antico e inattingibile è custodita nella varietà religiosa. Nella seconda parte del saggio l’autore si confronta con Leibniz ma si sofferma soprattutto sulle pagine di pensatori e scrittori contemporanei: Italo Calvino, Deleuze, Simone Weil e ancora Pannikar. «La via all’universale – spiega – passa per quell’inversione che implica (…) la rinuncia da parte di religioni e Chiese alla logica identitaria fondata sul potere, sull’amministrazione della salvezza, in vista di un’identità più segreta che unisce religioni culture e civiltà ed è già operante nel profondo».