VOLVER

Ci sono storie che sembrano fatte apposta per esser ricordate: sono affascinanti, sono dense di “storia”, di simboli, sono complesse e intessute di mille altre storie, qualsiasi artista vorrebbe poter sempre incontrane qualcuna, potersene innamorare. È quanto vien fatto di pensare di fronte a “Volver” lo spettacolo del regista e drammaturgo siciliano Giuseppe Provinzano (compagnia Babel Crew di Palermo) che s’è visto a Messina il 10 ottobre scorso, nell’ambito del Festival di culture mediterranee “Sabir”. Il testo nella sua prima e più asciutta stesura è risultato tra l’altro vincitore del prestigioso premio “Dante Cappelletti” per il 2014. In scena, oltre allo stesso Provinzano, Simona Argentieri (che dello spettacolo cura coreografie e movimenti) e Maurizio Maiorana (che, oltre a recitare, cura le musiche). Di cosa si tratta? Di una storia straordinaria che l’autore ha incontrato a Gioiosa Marea, un piccolo paese della costa tirrenica della Sicilia: nei primi anni del novecento, dopo la devastazione del terremoto di Messina del 1908, moltissimi abitanti di questo villaggio emigrarono in Argentina. Fu, come è facile immaginare, una migrazione dolorosa e densa di speranze e incognite per tutti quelli che la intrapresero ma, in qualche modo, anche per quanti, pochissimi anziani in verità, restarono in Sicilia. Fu un’avventura che seppe fornire risposte positive e condizioni di vita migliori in Argentina, senza spegnere tuttavia il desiderio profondo di ritornare da dove si era partiti. Ed infatti, grazie alla propaganda e alle politiche messe in atto dal regime fascista, col tempo molti ritornarono a Gioiosa Marea, ma non tornarono esattamente come erano partiti: erano cambiati, era cambiata o s’era arricchita di nuovi elementi la loro cultura, non erano più soltanto contadini e pescatori siciliani, erano anche argentini e dall’Argentina riportarono, e impiantarono a Gioiosa, tra le altre cose una straordinaria passione per il Tango e per l’allegria, carnascialesca e tipicamente sudamericana, della “Murga”. Babel-Crew-Volver-di-Giuseppe-Provinzano-1
Inutile dire quanto una storia del genere possa attrarre storici e antropologi, sociologi ed etnomusicologi,  ma giustamente un drammaturgo di essa percepisce piuttosto il respiro epico e prova a organizzare la materia narrativa in modo che tale respiro epico possa scaturire con necessità da un’azione circoscritta. Si tratta di una dinamica compositiva tipica del cosiddetto “teatro di narrazione”. Ecco allora che in scena viene ripercorsa la vicenda di Nico, un ragazzo che, dopo il terremoto che ha distrutto il suo paese, è letteralmente costretto ad abbandonare il paese e la madre e a partire col padre in Argentina. Quindi la povertà, la disperazione, il lunghissimo viaggio in mare, le difficoltà d’inserimento nella nuova terra, ma anche le nuove speranze, i nuovi sapori, le nuove parole di una lingua nuova, emozioni forti e sconosciute, una musica nuova e una nuova danza, e un amore finalmente e la vita che si riaccende e riprende a correre. Infine il ritorno in Sicilia: giusta o sbagliata che fosse tale decisione, subìta forse prima e poi accettata per amore della famiglia, pagando senza sconti quel che c’era da pagare. Volver è verbo spagnolo che significa ritornare ed insieme è il titolo della celeberrima tango/canzone di Gardel. Provinzano, come si è detto, è abile a sintetizzare e a raccontare tutto questo, sa coglierne snodi e ricostruirne atmosfere, e però appunto di un racconto si tratta, di una struttura che resta sostanzialmente narrativa e in cui l’azione teatrale in sé, malgrado si arricchisca di movimenti e musiche e malgrado si appoggi alla presenza attiva di altri personaggi, appare come diluita nel respiro epico dell’intera vicenda. Ed è un limite vero, reale, forse l’unico rilevante di questo spettacolo.

Volver
Scritto e diretto da Giuseppe Provinzano; con Simona Argentieri, Maurizio Maiorana, Giuseppe Provinzano. Musiche a cura di Maurizio Maiorana. Coreografie di Simona Argentieri. Laboratorio tanguero di Maura Laudicina. Costumi di Vito Bartucca. Light designer Gabriele Gugliara. Assistente alla regia e organizzazione Agnese Gugliara. Una produzione di “Babel crew”. In co-produzione con Fondazione Campania dei Festival. Con il sostegno di Teatro Biondo di Palermo, Latitudini- rete della drammaturgia contemporanea in Sicilia. Premio Tuttoteatro.com Alle Arti Sceniche “Dante Cappelletti” XI edizione.

Paolo RANDAZZO

LINK DA DRAMMA.IT

i delicati incastri di “Machine tool”

NOTO – È sempre un privilegio seguire, sin dalle prime battute, la nascita e il graduale concretizzarsi di un’opera o di un progetto artistico. Parliamo in particolare di “Machine Tool_maneggiare con cura”, la coreografia di e con Melissa Gramaglia (siciliana di Noto, studi in Germania e poi in Italia nell’ambito della scuola di Roberto Zappalà) che s’è vista in Sicilia, proprio a Noto, il 25 settembre scorso, nell’ambito del Codex Festival. On stage, accanto all’autrice e danzatrice, a danzare e suonare dal vivo il versatile contrabbassista Antonio Aiello. gramaglia 4Uno spettacolo che la giovane coreografa ha costruito in un paio d’anni, tassello dopo tassello, segmento dopo segmento, con una serie copiosa di studi e riflessioni e che sembra aver trovato un suo definitivo ed apprezzabile equilibrio formale. È il rapporto amoroso il focus su cui si concentra la coreografa, il rapporto amoroso nella sua infinita (e quindi inesauribile) gamma di situazioni, emozioni, improbabili incastri, fratture, tragicomici paradossi che l’arte ha preso a esplorare sin dalle origini dell’uomo e che si disvela, in tutto il suo senso e la sua potenza vitale solo a condizione che di esso si sappia e si possa a parlare con autenticità. Ed è questo in fondo lo scarto che, fatta salva qualche acerbità e qualche eccesso d’ansia, rende apprezzabile il lavoro, questo lavoro, di Melissa Gramaglia: la consapevolezza che tra la finzione della resa scenica, limitata nello spazio e nel tempo, la dinamica della costruzione del segno e del gesto coreografico e l’autenticità di quanto si esprime c’è uno iato, una dialettica aperta che necessitano di cura, di attenzione, di delicatezza, di consapevole ironia. La cura e la consapevole ironia che consentono a qualsiasi arte di non trasformarsi in puro mestiere, che consentono al danzatore di far vibrare di senso il proprio corpo e al musicista di render lingua vivente le note del suo strumento. Ed è cosi che dialogano in scena Gramaglia e Aiello, è così che s’intersecano positivamente movimenti e note, gesti e sguardi, cadute e corse, è così che riescono a incrociarsi, con leggerezza e misura, ironia e profondità, naturalezza e disciplina. Meno utile appare invece, nell’economia complessiva dello spettacolo, l’utilizzo di parole che, nella loro nudità, davvero poco aggiungono al senso complessivo ed anzi ne limitano la poetica connotatività.

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Paolo RANDAZZO

link da Runor(s)cena.