CATANIA. “A. Semu tutti devoti tutti?” rappresenta un episodio importante della vicenda artistica di Roberto Zappalà. Così dieci anni fa, quando fu presentato per la prima volta, così anche oggi, riallestito e presentato al pubblico del Teatro Verga nel contesto della stagione in corso dello Stabile Etneo. Perché importante? Perché, al di là del pur straordinario dato formale, si tratta sostanzialmente di una una messa a fuoco concettuale, di un chiarimento definitivo, di un prender le misure e mettere le giuste distanze tra l’intelligenza creativa, potente, feconda, raffinata e cosmopolita di Roberto Zappalà e di tutto il suo ensemble e il magma incandescente della sua Catania, della cultura popolare in cui è cresciuto e che in qualche modo, madre e matrigna, continua ad abbracciarlo. Un chiarimento positivo, più che affettuoso ma al contempo severo e senza ambiguità, un chiarimento che si dispiega su una linea di faglia molto antica, tormentata, delicata: il culto antico e rovente di Sant’Agata, ovvero ciò che nessun catanese potrebbe mettere agevolmente in discussione criticamente continuando a definirsi tale. Un chiarimento con una parte ancestrale del nostro essere, una parte che magari sottovalutiamo, ma che si ripresenta viva e vibrante ogni volta che ci troviamo immersi in una di quelle masse di fedeli che rinnovano l’antichissima religiosità popolare (pagana e cristiana insieme) del Mediterraneo. Una religiosità rovente, impura, feroce, capace di accogliere nel suo ventre largo il bene e il male in ogni possibile declinazione. Il concept di questo spettacolo nasce dieci anni fa quando Zappalà decide di riflettere sulla vicenda del controllo mafioso di ampi segmenti dell’organizzazione pratica della festa di Sant’Agata (le bancarelle, la cera delle candele, le scommesse clandestine). Un controllo accettato spesso supinamente dal popolo, quasi come un fatto normale. Una sottocultura malata e mafiosa che sporca ancora – come anche alcuni fatti di quest’anno hanno dimostrato (fatta salva la determinata e coraggiosa reazione del vescovo) – un culto che invece è intriso non solo di sincera pietas religiosa, ma anche di grande partecipazione e teatralità barocca. Il tutto scritto (e oggi riscritto e riallestito) con i segni forti di una danza che si apre e vive e respira nei corpi e nei movimenti dei danzatori (Adriano Coletta, Alain El Sakhawi, Salvatore Romania, Fernando Roland Ferrer, Antoine Roux-Briffaud, Massimo Trombetta, il nuovo e giovane Alberto Gnola), nella loro tensione muscolare, nella lotta, nel corpo abbandonato, sensuale e mistico, totalmente e meravigliosamente nudo, di Maud De La Purification (ma in altre repliche di Valeria Zampardi), che è mosso in scena dai danzatori senza che mai possa toccare terra: un corpo che è sogno, desiderio, fantasma, fatica, opera d’arte. Sostanziale appare ancora l’apporto drammaturgico, in senso ampio, di Nello Calabrò: «È vero che siete innocui singolarmente e che imbarbarite nella folla? Diventate crudeli se costretti dalle circostanze?… Non è forse scritto? la mia casa sarà riguardata come casa di preghiera per tutte le genti. Chi ne ha fatto una caverna di ladri? una spelonca di ladri, una caverna di briganti…».E ancora, a far da contrappunto alla danza, a riempirne le vibrazioni, a inseguirne o anticiparne i percorsi, ecco le musiche raffinate, ma concrete e carnali anch’esse, dell’ensemble de “I Lautari” presenti in scena (Peppe Nicotra, Puccio Castrogiovanni e Salvo Farruggio). Un magma incandescente questo spettacolo in cui, se pur si conferma la presenza di alcuni elementi di debolezza (uno su tutti la chiusura con il video di Carmen Consoli), il segno di maggiore interesse appare senza dubbio l’accresciuta maturità dei danzatori che dopo ben dieci anni lo reinterpretano con una vigoria, un’intelligenza del gesto e una solidità artistica davvero straordinarie. Doti che Zappalà ha saputo cogliere di nuovo e mettere a frutto da par suo. Visto il 6 Febbraio al Teatro Verga di Catania.
Paolo Randazzo
——————————————————————-
“A. Semu tutti devoti tutti”, 3° tappa dal progetto “re-mapping Sicily” coreografia, regia, scene e luci di Roberto Zappalà; musica originale (eseguita dal vivo) di Puccio Castrogiovanni (Lautari); costumi di Marella Ferrera e Roberto Zappalà; drammaturgia di Nello Calabrò e Roberto Zappalà; testi di Nello Calabrò; realizzazione scene e costumi e assistenza Debora Privitera.
Interpretazione e collaborazione dei danzatori: Adriano Coletta, Maud del La Purification
Alain El Sakhawi, Alberto Gnola, Salvatore Romania, Antoine Roux-Briffaud Fernando Roldan Ferrer, Massimo Trombetta, Valeriaa Zampardi. Musicisti: Peppe Nicotra, basso, Puccio Castrogiovanni, corde, marranzani e fisarmonica, Salvo Farruggio, percussioni, Peppe Nicotra, chitarre
Produzione Teatro Stabile di Catania, Scenario Pubblico/Compagnia Zappalà Danza, Centro di Produzione della Danza, in collaborazione con il Festival MilanOltre. Spettacolo vincitore del premio Danza&Danza 2009 come miglior spettacolo italiano. Crediti fotografici: Serena Nicoletti.