Folle, testarda, generosa Antigone

CATANIA. Antigone di Sofocle, diretta da Laura Sicignano, è uno spettacolo interessante e generoso. Ha debuttato martedì 15 ottobre scorso sulla scena del Teatro Verga di Catania ed è stata una boccata d’ossigeno per la vicenda dello Stabile catanese del quale forse solo adesso, anche grazie al lavoro organizzativo e creativo di questa regista che ne è anche direttrice, si comincia a intravedere un barlume di futuro. Uno spettacolo generoso perché, lasciandosi dietro ogni tipo di rigidezza e di memoria neoclassicista, si lancia in un serrato corpo a corpo col testo sofocleo (di cui Sicignano firma anche la traduzione e l’adattamento insieme con Alessandra Vannucci). Un corpo a corpo col testo da cui si delinea subito il senso dello spettacolo: Antigone è la giovane donna che, in nome di leggi di origine e definizione naturale o sacrale, si ribella senza timore alcuno alla durezza del potere solo recentemente costituito, ancora brutale, grettamente politico e soprattutto maschile. Tutto lo spettacolo è strutturato secondo questa lettura: la nettezza, seppur non bene caratterizzata, con cui Barbara Moselli interpreta Antigone, la fragilità di Ismene, ben colta invece da Lucia Cammaleri, la durezza di Creonte interpretata da Sebastiano Lo Monaco e poi tutto il resto, sia dal punto di vista degli attori, sia dal punto di vista della imponente scenografia (forse eccessivamente ingombrante almeno per la scena del Verga: un vecchio castello di legno pericolosamente pronto a crollare e che crolla davvero, simbolicamente, alla fine quando tutto sarà compiuto) firmata da Guido Fiorato. Tutto secondo la più tradizionale delle prospettive di lettura: l’eroina ribelle, senza paura che si oppone radicalmente a un potere maschile e tracotante.

Senonché il compito di rendere lo spettacolo più profondo e problematico se lo assume Lo Monaco nel ruolo di Creonte ed è chiaro che la regia accompagna questa espressione di matura consapevolezza. Certo, come spesso accade, questo attore sembra interpretare più se stesso che il personaggio che gli è assegnato, però da professionista qual è anche ben capace di comunicare che no, non è affatto vero che Creonte è banalmente la maschera del cattivo e che la vicenda in corso è assai più complicata. Non solo infatti Creonte, che a Tebe ha preso il posto di Edipo in quanto fratello di Giocasta, si attira addosso con la condanna di Antigone una terrificante punizione divina (la morte del figlio Emone fidanzato di Antigone e subito dopo quella della moglie Euridice che si suicida), ma soprattutto il suo tormento rende chiaro che il confitto tra le leggi “non scritte” difese da Antigone e quelle “politiche”, impersonate e difese da lui stesso è davvero assai meno banale e (per noi) molto più attuale e vivo di quanto non sembri. Non è affatto detto infatti che le leggi del ghenos, le leggi naturali, siano da salvaguardare e difendere più di quelle politiche. È una complessità di cui Creonte vive ed esprime tutta la durezza, che agisce e subisce sino alla catastrofe finale. Suo figlio Emone (personaggio ben compreso e interpretato da Luca Iacono) lo scongiura di rifiutare ogni eroica, ma sostanzialmente sterile, durezza e di accettare questa complessità, di piegarsi ad essa. Ma è una complessità che anche Antigone, dal canto suo, rifiuta ed anzi sfida, ma che, se frustrata e misconosciuta, provoca inevitabilmente – o implica fattualmente – conseguenze violente e financo mostruose. Lo testimonia tutta la storia dei Labdacidi e sembra annunciarlo nel suo monologo un Tiresia interpretato con forza da Franco Mirabella: un profeta/fool che sembra voler contenere al contempo la forza ancestrale del personaggio mitologico e la ricchezza di senso che, ai profeti e ai matti, ha concesso la storia del teatro occidentale.

Prima di rinchiuderla nella caverna, i tre guerriglieri/guardie (Silvio Laviano, Simone Luglio, Pietro Pace), a cui è affidato tra l’altro il ruolo del coro sembrano alludere a un tentativo di stupro: è un allusione visibile e perturbante che precede e spiega il senso profondo di questo allestimento. Un’idea importante che non viene sviluppata. Un’allusione tuttavia, per quanto evidente, non è un’azione e probabilmente nell’economia complessiva dello spettacolo sarebbe stato più utile che quell’azione si desse esplicitamente. Perché più utile? Perché, proprio alla fine della messinscena, avrebbe reso in una forma definita – seppur scandalosa – la lettura che ha dato vita alla messinscena: la grotta oscura dove è lasciata morire Antigone è la violenza maschile che si rifiuta di cogliere la complessità della realtà, specialmente quando la realtà equivale alla forza e alla ribellione di una donna.

Ma si è voluta scegliere una forma più consueta: forse uno stupro avrebbe sopravanzato la carica di violenza esplicita tollerabile in una tragedia, forse non si è voluta forzare l’originaria ambiguità del testo antico. Eppure non è mancato il coraggio di affidare un monologo di nuovo conio a Egle Doria che lo ha recitato nel ruolo di Euridice, con un’infrazione non lieve della tessitura drammaturgica sofoclea. Convincente? No perché, al di là del pathos ingiustificato, quel personaggio si esprime con un silenzio che è un’invenzione drammaturgica strepitosa e che dice tutto senza proferire una sola sillaba più del necessario. Molto positive appaiono infine le musiche di Edmondo Romano: si tratta di composizioni originali e suonate in scena che danno profondità e autenticità di evento e di mistero a quanto accade in scena.

Paolo Randazzo

 

Antigone. Di Sofocle. Dal 15 al 27 ottobre 2019 .Traduzione e adattamento di Laura Sicignano e Alessandra Vannucci; regia di Laura Sicignano; con Sebastiano Lo Monaco, Lucia Cammalleri, Egle Doria, Luca Iacono, Silvio Laviano, Simone Luglio, Franco Mirabella, Barbara Moselli, Pietro Pace; scene e costumi di Guido Fiorato, musiche originali eseguite dal vivo da Edmondo Romano; luci di Gaetano La Mela; produzione del Teatro Stabile di Catania. Crediti fotografici: Antonio Parinello.

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